Parole del santo padre, che riprendo, faccio mie e declino alla semplice quotidianità mancata.
Un senso di profonda solitudine agisce sul profondo, sgretola alcune semplici certezze, fondamento delle più naturali sicurezze di ogni persona. Spingendo verso il fondo ogni aspirazione, seppur nella routine ricostruita a fatica, ci sforziamo di essere ritornati in una illusoria normalità.
Una normalità fatta di profonda lontananza aggravata da una malsana voglia di rivalsa rispetto ad una condizione ingiusta nella quale ci siamo ritrovati a condividere esperienze, pensieri, aspirazioni e paura.
Siamo sull'orlo di una crisi di nervi causata da crisi sanitaria, devastazioni di ogni genere, vuoti di potere e inconciliabili posizioni polarizzanti, pronti a sostenere ragioni tanto distanti tra loro, tanto effimere quanto fallaci, portandoci ad uno scontro con il nostro subconscio destato da un'inquietudine, nociva e contagiosa.
Il bipolarismo interiore che sta caratterizzando le nostre vite, tra paura e volontà di rivalsa, è sintomo di un'incertezza, tanto più dannosa ora, nel bel mezzo di una crisi senza precedenti.
L'appello all'unità perso nel vuoto e il coro "ne usciremo migliori" è stato presto superato da personalismi e sopraffazioni, conducendoci in fine ad estremismi senza paragoni.
I cartelli, ghiacciati e inzuppati dall'incedere delle stagioni, recitano ancora a fatica l'ormai celebre "Andrà tutto bene", rintuzzando nelle nostre coscienze il tentativo maldestro di far squadra, di cantare sui balconi o di ripromettere a se stessi di essere benefattori provetti.
Si sono scolorite le lettere quanto il loro significato, hanno perso di attualità a causa delle disattese illusioni che avevano proposto. Il destino ci ha traditi e ci ha spinti più lontani, distanti e soli, incuranti del prossimo, concentrati ancora di più sul presente pronti a maledire il passato.
L'anno appena iniziato non ha di fatto arrestato l'incedere di una drammatica e rovinosa caduta dell'occidente, anzi ha accelerato a causa dell'aumento vertiginoso della pendenza del piano in cui ci si sta muovendo. Superato lo stordimento iniziale, dovuto all'impreparazione, adesso ci si ritrova a combattere, creando involontariamente personalismi, conflitti e prevaricazioni. Il mondo che vorrei è ogni giorno più distante rispetto ad ogni altro mondo immaginato o sperato, rinnegando ogni giorno il suo riflesso, sconfessando ogni istante le sue radici. Il mondo che vorrei è ora poggiato su radici malate, povere e morenti, atterrate e prosciugate dal passato e dal presente, che le imprigiona, le soffoca e le rende infruttifere.
Il mondo che vorrei fatto di viaggi, condivisione, e vita, viene quotidianamente avvilito da un particolarismo, che ci annichilisce riducendoci al nostro orgoglioso Io, una corsa alla sopravvivenza, nella quale la spunta chi per primo si dimostra in grado, a qualunque costo di mettere la testa fuori, prevaricando l'altro, traendone vantaggio.
Messi da parte tutti i buoni propositi ci siamo spinti nella corsa alla sopravvivenza verso un declino interiore senza precedenti, lasciandoci sospingere verso i nostri istinti dal momento di crisi, insicurezza e difficoltà.
Il mondo che vorrei è ora utopia, poiché il confine tra presente e futuro è ancora confuso, sbiadito, il che rende impossibile ogni tipo di previsione, ambizione o volontà.
Non manchiamo di fingere, illudendoci di poterci armare di speranza per poter ribaltare le sorti di un destino fosco, cullati dai mercati, la finanza e i bisticci dei "grandi".
Pensando a poltrone e poteri da assegnare pian piano ci distraiamo dall'esigenza primaria, la sopravvivenza della società così come l'abbiamo messa in pausa tempo fa.
Il mondo che vorrei è un'ambizione, tanto ipocrita quanto indeterminabile, guardando lo stato dell'arte. Il divario tra povertà e sopravvivenza rende impossibile pensare di programmare, di costruire, di fondare una nuova coscienza comune, un nuovo spirito sociale. Siamo inseriti in una catastrofe dalla quale si salverà chi già oggi sta meglio, di fatto l'opposto di una decrescita felice, impedendo di mettere a fuoco i temi che da sempre a parole toccano l'uomo ma che non lo muovono mai in una direzione risolutiva o lungimirante. Clima, disuguaglianze, guerra e povertà, non trovano che un complice nell'attuale crisi post-covid, annullando i recettori su queste tematiche distraendo l'opinione pubblica e rendendo sorda e cieca la società sui problemi che forse l'anno causata. Solo a distanza di un anno, abbiamo cominciato a domandarci dove tutto è nato, nella migliore delle prerogative dell'uomo moderno, costretto sempre a rincorrere i problemi, non guardando alla prevenzione, all'annullamento di pericolose precondizioni, sostenendo le campagne a favor di ROI senza far i conti con i risultati che queste disattese speranze provocheranno in futuro.
L'inizio di tutto, sarebbe facile farlo coincidere con questa emergenza, ma per nostra sfortuna nasce prima, coinvolge la vita che abbiamo condotto in precedenza, illudendoci fosse la via migliore possibile, reprimendo di fatto noi stessi, omologandoci a standard, appiattendoci sulle aspettative di sondaggi ed exit-poll.
Il mondo che vorrei è una speranza, una flebile luce in fondo ad un interminabile tunnel, sulla quale non facciamo altro che soffiare.
Una crisi dell'uomo ha condotto ad una crisi sanitaria, i suoi effetti ricadranno sulle future generazioni, sulla fertilità di una società, sempre più schiava di valori e burattinai invisibili, distanti e celati.
Il mondo che vorrei è un programma di speranza, una fantastica illusione, una tragicomica bugia, che ci ripetiamo per addolcire la pillola indigesta del presente.
Prendiamoci cura di noi stessi, prima che sia troppo tardi, sforziamoci, usciamo da questo guscio, di paura indotta, sfidiamo la certezza di un futuro fosco e iniziamo dare luce... costruiamo il mondo che vorrei.
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