top of page

Riprendere il controllo

  • Immagine del redattore: @AleCarchia
    @AleCarchia
  • 3 minuti fa
  • Tempo di lettura: 5 min

Un'altra volta la vita ci chiede di renderle conto, un'altra volta la il groppo in gola deve i essere sputato fuori, un'altra volta si torna a sfogliare il libro della propria vita ormai impolverato e dimenticato.

ree

A volte è il caso di dirlo, troppo tempo passa da una analisi attenta e onesta della propria vita all'altra, troppe volte si rinuncia a prendere coscienza di ciò che si è stato, si è e si vuole diventare, troppi attimi sono vissuti uno dopo l'altro senza dedicare attenzione al cosa si sta facendo o al cosa si sta diventando.


Il libero arbitrio, la conoscenza, l'educazione ci spingono a compiere scelte, ogni giorno, ogni ora, ogni istante.Siamo le nostre scelte e le nostre scelte sono le uniche risposte alla domanda sul cosa vogliamo essere.

Il risultato di queste decisioni grava come un'incudine sospesa sulle nostre teste, pronta a colpirci qualora si venisse a scoprire che la direzione presa non è stata la più felice, migliore o auspicabile.La paura della scelta è essa stessa una condanna, un lento colpevolizzarsi, un continuo mettersi in discussione.


Ciò che muove ogni persona quando si decide di riprendere in mano la propria vita, è la necessità:

La necessità di capire, di capirsi e di diradare la nebbia fitta che pervade il nostro habitat, ne distorce i contorni, toglie saturazione ai suoi colori e ti obbliga a guardare in modo ottuso la sola porzione di cammino davanti a te.


Il modo migliore per affrontare questi momenti sarebbe quello di derimere le convinzioni che ci legano allo status attuale, cominciare a puntare lo sguardo più lontano, verso la tendenza dei nostri passi, verso un orizzonte più distante da noi, calciando nell'incedere gli ostacoli, senza prestando attenzione ad essi, senza esserne prigionieri.


La necessità di una autoanalisi è da ricercarsi nella consapevolezza di aver perso qualcosa, di aver sottovalutato degli aspetti di se e degli altri, di aver indossato il paraocchi delle feste per ingannarsi di aver percorso la strada giusta.

Con la forza non ci si ascolta, con la rabbia non si ragiona, con la fottuta depressione non si dialoga... ciò che ci deve muovere è la sola consapevolezza.


Il saper fermarsi, tirare un respiro e alzare la testa, volgere lo sguardo al percorso fatto, alle macerie lasciate indietro e ai traguardi raggiunti, poi lasciar scorrere...

Nulla è più potente della autoanalisi per farci stagnare in una versione di se, edulcorata e malinconica, ricca di autoreferenze e di giustificazioni.Rispettare se stessi significa saper guardare al passato, ma non esserne carcerati e carcerieri, tendere al futuro senza essere anticipatori di ciò che sarà, godendo tanto dei traguardi quanto dei fallimenti.


La storia di ognuno di noi è scritta partendo da assunti diversi, con diverse prefazioni, diversi protagonisti e diverse comparse, non può essere per tutti la stessa, questo pare ovvio a tutti, ma non tutti sanno convivere con questa precondizione fondamentale.L'omologazione delle vite e dei suoi traguardi limitano l'incedere di ognuno di noi, la conformazione delle necessità e delle aspettative, rende le storie confrontabili, quando in realtà ogni autore ha il dovere di mettere qualcosa di suo nella narrazione, l'ordine delle parole che fluiscono una dopo l'altra, i preconcetti da quale parte la narrazione e la non curanza del finale.Il punto alla fine dell'ultimo verso dell'ultimo capitolo non è predeterminato, non si sa ne quando sarà posto, ne da chi...

Non ci sono i giudizi in calce e la sua recensione non potrà essere fatta fino al suo compimento.


Quindi perché soffrire del percorso? Perché sottomettere la vita, il futuro e il proprio se al giudizio diretto o indiretto rispetto a ciò che ci circonda? Perché fingere di essere altro da se per conformarsi, per piacere ad altri o a se stessi?Siamo fallibili e lo dimostriamo ogni giorno, in ogni secondo sprecato, in ogni sogno infranto, in ogni amore perso, in ogni obiettivo non raggiunto: altro non sono questi che capitoli, alla quale in fondo c'è un punto.Questo "punto" non è però definitivo, apre la strada ad un nuovo capitolo, ad un nuovo sogno, ad un nuovo amore, ad una nuova versione di se.


La storia che si scrive è non lineare, piena di flashback, siamo tutti un po' Christopher Nolan nel voler riesumare ricordi e sensazioni del passato, pensando ci possano essere di insegnamento.Ma siamo diversi da un secondo fa, e ciò che ci faceva stare bene nel capitolo precedente oggi potrebbe essere la nostra kryptonite.

Siamo soli, questo è logico, ma allo stesso tempo siamo inseriti in un contesto sociale che ci stimola, ci affossa, ci sprona e ci castra.

Il vuoto nel nostro diario non cancella un tratto della nostra vita, è solo testimonianza di una non elaborazione di ciò che è stato, che si voglia o meno prenderne coscienza.Una pagina strappata o una riga cancellata hanno solo l'effetto di blando placebo.A cascata tutto il nostro essere ci raggiunge, tutto confluisce su ogni istante un cui facciamo scelte, non essendo mai realmente svincolati da preconcetti, giudizi e doveri.


Spesso si racconta di come le esperienze dolorose temprino l'essere, forgino il carattere o formino nuove consapevolezze, questa visione ottimistica è anche vera, se si desidera vederla secondo l'arte del Kintsugi, ma a volte la vita non fornisce seconde opportunità e le crepe rimangono, minando le fondamenta di ogni persona.Le si può abbellire, ci si può raccontare di esserne orgogliosi poiché forniscono insegnamenti e maturazione, ma tutti dobbiamo prendere coscienza che di crepe si tratta, queste intaccano le fondamenta, compromettono certezze più solide e indeboliscono la struttura, rendendola più delicata, più in pericolo.La reazione naturale è quindi quella di alzare altri muri, scavare nuovi fossati, e dotarsi di più ingegnosi sistemi di protezione, più sofisticati antidoti, allargando il perimetro della propria diffidenza, aumentando il raggio delle proprie paure, allontanando da se ciò che può essere dannoso tanto quanto ciò che in realtà potrebbe essere risolutore.


I capitoli più dolorosi altro non sono che i punti più bassi e veri della nostra esperienza, i fallimenti possono essere degli azzeramenti nei quali restiamo interdetti, immobili di fronte alla crudeltà della realtà che ci si para davanti, irrimediabilmente feriti e disarmati non aspettiamo altro che si concluda il capitolo, che il sole sorga di nuovo, insomma "Adda passà a nuttata" diventa l'unica speranza.L'esserne spettatori è la colpa più grave, la capacità di trarne forza, insegnamenti e motivazioni è imperativa, fidandosi di se stessi in modo zelante, quasi religioso.Tutto deve essere naturale, come a tendere ad una nuova versione di se, non azzardando un miglioramento obbligato o una "Caporetto" su tutta la linea, ma riversando ogni aspetto di noi stessi, mettendosi a nudo, in discussione.


Nella costante paura di crescere o non farlo abbastanza, di procedere pensando che ci sia un solo verso per farlo, non intendendo la vita un multiverso di direzioni, scelte, incroci e svolte a U... Traumi e sconfitte, gioie e traguardi altro non solo che scambi di binari interminabili, nei quali non esistono ritardi o fermate, la meta non la si conosce e il viaggio è l'unico motivo per passare dal lato finestrino alla motrice, prendendo le redini, smettendo di essere passeggeri impauriti, ma coscienti macchinisti.


Belle parole, facili di scrivere quanto impossibili da realizzare, forse sì...

La loro applicazione non va ricercata nel quotidiano, sia mai che si possa realmente essere così presenti a se stessi.Proprio per questo, queste parole cadono ora sulla tastiera, una battuta dopo l'altra dopo mesi di assenza, mesi di stasi, mesi di assoluta negazione, non possiamo essere sempre ciò che dobbiamo, ma prenderne coscienza è il primo passo per riprendere il controllo delle proprie vite.

 
 
 

Commenti


bottom of page